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Cosa accade quando lasciamo il corpo fisico? Il "mistero" del post mortem

09-12-2025 11:54

Rossana

Karma e reincarnazione, post-mortem-, anima,

Cosa accade quando lasciamo il corpo fisico? Il "mistero" del post mortem

Cosa accade davvero alla nostra anima appena lasciato il corpo fisico?

Il post mortem non è un giudizio e non c’è nessun Dio severo che ci attende per giudicare come abbiamo vissuto la nostra vita.

Il giudice siamo noi — ma non nel modo che immagini.

La visione tradizionale parla di un tribunale, di un Dio che valuta, di una sentenza.

È una metafora, utile forse per spiegare concetti morali, ma lontana dal funzionamento reale di colei che invece svolge il vero ruolo di "controllo": la nostra coscienza.

Quando la vita termina, la coscienza si ritira dal corpo e si ritrova davanti a uno specchio; non uno specchio simbolico: uno specchio operativo.

Mostra la nostra storia senza filtri:

le scelte fatte, quelle evitate, ciò che abbiamo assunto e ciò che abbiamo lasciato, ciò che è stato integrato e ciò che è rimasto aperto.

Qui arriva il punto che spesso viene frainteso perchè quando dico che il giudice siamo noi non significa che possiamo, di conseguenza, auto-assolverci.

La coscienza non giudica come la mente, non interpreta, non minimizza, non si racconta favole per proteggersi.

La coscienza non passa attraverso la psicologia, passa attraverso la struttura e la struttura non permette autoinganni.

Non puoi “giustificarti”, perché non c’è spazio per la giustificazione.

Non puoi “attenuare”, perché non c’è un filtro emotivo.

Vedi ciò che è stato, e ciò che non è stato, nella forma più pura possibile.

È questa assenza di filtro a rendere impossibile l’autoassoluzione.

Da questa visione nasce la decisione:

accogliere ciò che emerge oppure non farlo.

E qui si aprono le due traiettorie:

chi non riesce ad integrare ciò che vede rimane in stati più densi, più opachi, più pesanti - se vogliamo usare un linguaggio comprensibile, questi stati possono essere assimilati al così detto “inferno”, ma non pensarlo come luogo di punizione, quanto piuttosto una condizione interiore in cui la chiarezza manca e la struttura deve essere ancora compresa, causando sofferenza.

Chi invece accoglie, integra, scioglie ciò che emerge si muove verso piani più chiari, più leggeri, più distaccati dal peso della materia.

Solo dopo questa integrazione la coscienza può:

- reincarnarsi,

- interrompere il ciclo,

- oppure proseguire su una linea diversa.

Il post mortem, quindi, non è un tribunale, ma una fase in cui ci viene chiesto di guardare in faccia la verità.

La “sentenza” non arriva da fuori, ma nasce dalla nostra capacità di riconoscere e chiudere ciò che è rimasto aperto.

La differenza tra piani bassi e piani alti, invece, è "semplicemente" la differenza tra una coscienza che integra e una che non integra.

Quando si guarda la vita con questa lente, molte dinamiche diventano evidenti e le ripetizioni, i blocchi, le relazioni che tornano sempre uguali cominciano ad avere un senso.

Non le vivi più come semplici coincidenze, ma come tracce di una struttura che non ha ancora trovato compimento e che ti permettono di affrontare il lavoro vero.

Finché non comprendiamo il funzionamento delle leggi che regolano la nostra vita, tutto si ripete.

Quando viene vista, la possibilità di trasformarla si apre.

La consapevolezza non è un’illuminazione: è un punto di intervento.

Quello che non viene riconosciuto continua a operare; quello che viene riconosciuto può essere integrato e solo in questo modo la vita cambia direzione.

Per questo il lavoro su di sé non è un discorso astratto:

è l’atto concreto di chiudere ciò che è rimasto aperto.

L’incarnazione non è un periodo di vacanza, al contrario è il momento in cui la nostra anima può integrare ciò che altrimenti richiederebbe molto più "lavoro" nell’aldilà.

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